Pierluigi Billone
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Mani.De Leonardis (2004)

per 4 Sospensioni di Automobile e Vetro
Commissione della Südwestrundfunk

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Pierluigi Billone


1. Mano

Ad ogni colpo fortissimo smorzato con la mano, anche la stretta che deve controbilanciare e assorbire l’energia è fortissima (testimoniata dalla vescica sulla mano sinistra e dalla muscolatura irrigidita). Un’azione e un gesto antichissimi normalmente legati alla lavorazione del ferro. Attraverso la mano che stringe la sospensione, l’impulso prosegue e si diffonde nel corpo, da dove è partito. Quando smorzo e rilascio c’è un momento dove l’energia della vibrazione è sia nella sospensione che nel mio braccio, e questa energia che circola dalla mano destra, attraversa la sospensione e prosegue attraverso la mano sinistra, diventa un flusso che prosegue nel colpo successivo. Quasi un cerchio chiuso di energia. Per cui, dopo i primi colpi, io vibro con la sospensione e sono parte integrante dello strumento. Sto suonando, ma non solo: sto anche risuonando, e praticamente sto suonando me stesso. Qualunque artigiano del ferro fa questa esperienza, ma resta sempre legata e limitata alle esigenze della operazione tecnica. Ma questo vibrare che circola durante l’azione si diffonde nel corpo e vi rimane, e per questo può anche affiorare in molti modi:

  • come manipolazione che modifica ulteriormente la vibrazione
  • come impulso diretto delle mani sulla sospensione
  • come impulso delle mani sul corpo rinforzato dalla voce
  • come risonanza indefinita attraverso la voce
  • come vibrazione-nome indefinito.

Quando anche il corpo diventa (contemporaneamente e separatamente) una seconda fonte di suono, le vibrazioni prodotte dal corpo e dallo strumento si intrecciano, e in molti casi non è più possibile distinguere quale delle due è stata la fonte iniziale: questo legame ritmico è uno dei centri del lavoro.

Un vetro è affiancato alle sospensioni: con i martelli di legno il vetro può essere colpito sempre e solo piano, altrimenti si rompe o cade. Il suono di questo vetro entra nel *Gioco ritmico ma conserva la sua estraneità. La presenza del vetro, quasi una “Stella polare”, rimane invariabilmente distinta e stabile mentre tutto cambia. Così può avere anche il ruolo di incorporare e segnalare con la sua presenza gli sbalzi di energia, le rotture e i salti di dimensione, alcuni eventi ritmici particolari, o di vagare “errante”... Durante i momenti dove l’instabilità ritmica e l’energia motoria raggiungono un limite estremo, il vetro pulsa secondo un ritmo proprio e indipendente. Conseguentemente la sequenze ritmiche contengono un istante “estraneo” che le spezza, e l’attenzione è obbligata ad una flessibilità non comune. L’impulso dove si concentra la massima energia e quello necessariamente più lieve, qui vengono a contatto senza essere in opposizione.

La stabilità ritmica del vetro, la costante variazione dell’istante, e la particolare qualità della attenzione che rende possibili entrambe, sono un unico fenomeno ritmico legato e non separabile. Il lavoro vive di questi legami ritmici che operano e si intrecciano. Tutta la mia ammirazione e riconoscenza all’interprete.

 

2. De Leonardis

E' opinione comune che gli uomini abbiano due mani. Per me quelli che ne posseggono veramente quante Madre Natura ci assegna, sono e sono stati pochissimi. Giacometti era uno di questi: con la destra aggiungeva, plasmava, formava, con la sinistra scalfiva, asportava, bucava. La testa era ben piantata nel mezzo. I musicisti? beh, quelli a volte hanno addirittura due mani destre e una testa, ma sono rari, rarissimi. Fra gli altri ci sono quelli che hanno solo la testa e niente mani o solo due mani destre e niente testa. Preferisco i primi [...].

Guardare è il mio mestiere, guardare e far guardare, per la precisione. [...] .Così, con le mani rigorosamente in tasca...

Federico De Leonardis - Breve storia della mano.

Io conosco appena l’oggetto che ho di fronte (la sospensione è usata da qualche anno come un triangolo particolare, appesa e suonata con una bacchetta di metallo), e ignoro come farlo suonare diversamente. Mentre provavo ho appoggiato una sospensione su un punto del pavimento dove c'è uno spazio cavo che per caso ha fatto da cassa di risonanza, e ho sentito la particolare ricchezza e profondità della vibrazione: molto simile a quella di alcune trasformazioni elettroniche del suono (per es. in Réponse di Pierre Boulez). Un contatto casuale quindi, ma non l’attenzione che lo ascolta.

Con Richard Strnad (collaboratore del Klangforum Wien, cui il lavoro è dedicato) abbiamo scelto e comprato 4 nuove sospensioni diverse. Una Feder è una spirale metallica di produzione industriale la cui forma e funzione sono il punto di arrivo di decenni di progetti e sperimentazioni meccaniche, ma ovviamente non è pensata per essere adatta a un gesto della mano, non ha un sotto, un sopra, un davanti, e ancor meno è stata progettata per essere suonata (e certamente non ha il fascino abbagliante e la bellezza “pronto uso” di tanti strumenti a percussione). Negli anni ho imparato che qualsiasi cosa rivela sé stessa lentamente e secondo la sua legge, e questo non accade quasi mai come risposta ad una domanda diretta, quindi ogni tappa di questo avvicinamento ha una sua necessità e nulla è secondario. Ho pulito ogni sospensione dalla ruggine e dalle incrostazioni come si fa con un reperto archeologico, per raggiungere quella familiarità che viene attraverso il contatto delle mani con la forma, con il “ritmo” della forma, le distanze e le differenze fra gli anelli, le eventuali irregolarità della materia, forse per scoprire se c'è un “dentro” in questo metallo ... Ho provato numerose bacchette e alla fine sono rimasti due martelli speciali di legno durissimo e un normale martello di ferro, e solo dopo molti tentativi ho trovato un supporto adatto per ogni tipo.

La sospensione offre un rapporto uomo-cosa-suono che può iniziare da un grado zero: una occasione particolare di conoscenza (che la Neue Musik ha spesso cercato...) La sospensione si rivela capace di un *Suono solo quando io sono in grado di ascoltarlo, e cioè quando la mia capacità e sensibilità di manipolazione, la mobilità della mia attenzione, la mia memoria sonora, la mia capacità di riconoscere o far nascere dei legami, la mia libertà di accogliere ciò che non conosco, lavorano inseparabilmente e senza ostacolarsi. Ogni *Suono che la sospensione rivela è contemporaneamente uno *Spazio dell’orizzonte (sonoro, mentale, manipolatorio, pratico, culturale) a cui appartengo. Ogni nuovo *Suono che si apre è un nuovo *Spazio che si apre nell’orizzonte. Ogni *Suono che non accolgo mi rivela ciò che non so o non voglio avvicinare. Gli *Spazi che non si sono aperti sono quelli oltre la mia portata. E così via.

Da ogni sospensione vengono lentamente alla luce costellazioni indefinite di vibrazioni, frammenti di movimenti, spunti grezzi di andamenti, ottenuti dal lavoro di una sola mano, due mani, usando una o più sospensioni, dai primi contatti si sviluppano dei veri e propri spazi sonori-manipolatori (questa cosa , fatta così e solo lì), unici e ancora completamente aperti. E’ questo lento lavoro della *Mano-che-ascolta che fa nascere, rivela e fonda il senso iniziale delle differenze, delle distanze, dei legami, della estraneità, ecc.

C’è una “Intelligenza della mano” veloce e mobilissima che rende possibile e guida qualsiasi altro rapporto con le cose, questa intelligenza però si offusca quando si comincia ad interferire, perché si pensa che le mani siano solo due neutre appendici meccaniche come una pinza, semplicemente a disposizione delle attività del cervello. Talvolta l'Intelligenza della mano resta nell’ombra anche perché non ci si fida più (o non ci si è ancora mai fidati) delle mani... Proprio questa distinzione mani/testa (pratica/pensiero) - e tutta la rigida ideologia che l’accompagnafonda anche la concezione dell’ascolto nella nostra cultura.

Il riferimento nel titolo a Federico De Leonardis, che della volontaria limitazione del ruolo delle mani ha fatto invece un punto di forza delle sue riflessioni e del suo lavoro, con risultati di grande interesse, ha quindi anche il senso di una amichevole (e reciproca) provocazione, e non solo di un omaggio.

 

3. *Mani ...εΰλυτα φέγγη (...libere luci)

*Suono non è una definizione acustica, sta per presenza-relazione vivente e aperta, e indica contatto, rivelazione ed appartenenza (è sempre stato così). *Mano sta per corrispondenza piena e indivisa di tutte le facoltà nel contatto con le cose. Non ogni vibrazione è *Suono e non ogni lavoro della mano è *Mano-che-Ascolta. (...e non ogni pezzo fa accadere *Musica). Un pezzo, nel senso elevato, aspira ad essere un. *Luogo dove ciò che viene alla presenza e distende il proprio orizzonte di relazioni, muta la stabilità di ciò che è già noto, e in modo esemplare.

E’ sensato parlare del lavoro che conduce ad un pezzo come di un *Cammino, e del pezzo stesso come di un *Luogo, che resta aperto e che poi altri possono anche abitare e percorrere secondo la loro misura (l’ascolto cui siamo abituati purtroppo resta sempre un po’ al di sotto di questa possibilità...). Anche il rapporto con il *Suono - come con lo *Spazio- è una lenta presa di contatto, dove si creano punti di riferimento, che crescono e si sviluppano a partire da distanze elementari che assimiliamo.

La *Mano-che-ascolta nel suo lavoro incontra, scopre e attraversa già anche le tracce di possibili percorsi e collegamenti, come le vie, i ponti e le piazze di una città che ancora non esiste, e le percorre come farebbe un *Piede (corrispondenza indivisa di tutte le facoltà). Prendendo familiarità con le misure e le distanze del *Luogo che si sta aprendo, cerca e trova pazientemente un percorso. Sarà compito della *Mano-che-scrive far proseguire, concentrare e irraggiare questo inizio senza perderne la freschezza, facendo di ogni passo una scoperta che si fa in quell’istante (e continuando a scoprire).

Chi cammina e fa *Spazio è il *Suono. Il pezzo è una avventura del *Suono stesso. L’uomo che scrive il *Suono, il compositore, si assume liberamente il compito di diventare volta a volta martello, sospensione, vetro (matita, carta), e di aprirsi a questo rapporto. Cosa non sempre possibile. Quando la *Mano-che-scrive e la *Mano-che-ascolta si separano, o addirittura si ignorano, l’esperienza del *Suono si indebolisce.

Resta però sempre aperta la domanda (che per alcuni forse è solo un fastidioso “rumore di fondo”): tutto questo tocca la mia esistenza? E quanto profondamente?

Certo, e molto (ma è necessario anche crederci...), perché si tratta sempre della mia stessa mano, quando suono la sospensione, quando scrivo, quando accendo la luce, quando aziono il meccanismo di una bomba “intelligente” che uccide sempre nel posto sbagliato o quello di una bomba “vigliacca” sull’autobus o sul treno, quando accarezzo un viso o stringo un’altra mano, quando sfoglio questo programma di sala.