Pierluigi Billone
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ITI KE MI (1995)

per Viola

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Pierluigi Billone


Alcune vibrazioni “grezze” e instabili delle corde contengono oscillazioni superficiali più brevi: tracce di apparenti vibrazioni vocali o di provenienza indecifrabile che si formano solo in movimento e non sono separabili dalla vibrazione grezza che le genera. Spesso non sono riproducibili. Uno sfondo inascoltato che si manifesta inizialmente solo in particolari condizioni, e soprattutto nelle zone d’ombra della tecnica e delle vibrazioni già note. Un “dietro” o un “altrove”, esattamente lì dove migliaia di dita sono passate e ripassate suonando, senza avvertire queste tracce e semplicemente ignorandole, perché estranee al musicale più ovvio (e sicuro) e perché indirizzano l’attenzione verso una zona dove le distinzioni più familiari diventano incerte o addirittura cadono...

Nella disponibilità all’ascolto e al colloquio poetico e visionario con il mondo, la presenza di questi accenti (in rapporto alla superficie che li nasconde e allo sfondo che li genera) è una emozione che concentra a sé l’intero movimento della attenzione. Queste vibrazioni, precarie e uniche, diventano il punto inafferrabile che rivela un intreccio di nessi di natura diversa (così come una eclisse- “attimo” su scala planetaria- rivela la possibilità e la connessione di un ordine da scoprire) Le tracce iniziali indicano inscindibilmente una stato-relazione.

Il lavoro comincia con uno studio e un irraggiamento di questo nesso in direzioni differenti; la dimensione che si apre è il *Musicale, in senso amplissimo. In questa fase non viene prodotto alcun “pezzo”, è più una scrittura-attenzione dove il foglio muta continuamente o non esiste affatto. Questa apertura verso il *Musicale genera lentamente un suo polo: il (futuro) pezzo.

E’ un lento movimento di concentrazione: attraverso la scrittura compositiva emerge la dimensione più specifica e privilegiata del “solo-musicale”. E’ un movimento a spirale che, se riesce a non perdere il contatto con il cerchio iniziale, resta aperto, e vi rinvia continuamente. In questa prospettiva però il comporre e l’ascolto mutano e cominciano a confondersi. Ciò che la scrittura definisce e fissa non è più semplicemente riducibile a un gioco di relazioni e differenze di segni musicali. Il “Suono” resta aperto, con tutta la ricchezza e l’ambiguità di una presenza viva. I nessi che entrano in gioco attraversano il “foglio” obliquamente e lo oltrepassano.

Il presupposto di ITI è un attraversamento (e scomparsa) della superficie. Una particolare assenza delle vibrazioni tradizionali e del pensiero corrispondente (ITI- Nuova Luna) rende ascoltabile i movimenti più profondi che la superficie velava. Si manifestano degli stati-spazi dove incessantemente frammenti di vibrazioni “vocali” (KE- Bocca), ma anche “meccaniche”, etc. emergono da uno sfondo in movimento, spesso confondendosi in esso. Grazie alla scrittura, si forma e diventa udibile un Luogo (con una sua “geografia” particolare fatta di centri, soglie, aperture, attraversamenti, ostacoli, etc.) e il Cammino-nel-luogo (un procedere ritmato da presenze, permanere della presenza, assenza, unicità, ricorrenza, etc.).

In questo manifestarsi del *Musicale ho creduto di riconoscere un tratto del femminile (MI-Femminile). ITI KE MI è stato scritto per la violista Barbara Maurer, cui è dedicato.

Vedi inoltre [UTU AN.KI LU]